Nel nome di Schiavio: “Da lassù papà Angelo si gode questo Bologna. E tra un anno lo scudetto”
Marcella, figlia del grande ‘Anzlein’: “Sarebbe orgoglioso di questo squadrone. Era una bandiera come non ci sono più nel calcio. Ma almeno noi abbiamo Orso". Cent’anni fa il primo campionato vinto: “Con Saputo possiamo ambire al titolo”

Angelo Schiavio festeggia uno dei suoi tanti gol in rossoblù. A destra, Marcella Schiavio con il nipote Achille
"Cinque pappine alla Lazio, quarti davanti alla Juve. Mio papà lassù se la starà ridendo di gusto...". Il padre di Marcella Schiavio non è un papà qualunque. E’, anzi fu, Angelo Schiavio, per tutti Angiolino, meglio ancora ‘Anzlein’, il monarca supremo del gol, il pioniere che avviò la Storia e che in bacheca vanta quattro scudetti e un titolo di campione del mondo con l’Italia nel 1934, propiziato peraltro dal suo gol alla Cecoslovacchia nei tempi supplementari.
Marcella Schiavio, quanto sarebbe piaciuto a suo padre questo Bologna?
"Tanto. Perché è una squadra piena di giovani, che in campo si divertono e che divertono chi li vede giocare. Vedere il Dall’Ara pieno di bandiere rossoblù che esplode di gioia è uno spettacolo. E mi fa tornare bambina, ai tempi in cui mio padre mi portava al Comunale a seguire gli allenamenti. La guerra era appena finita, lui aveva smesso di giocare ma non di dare una mano al suo amato Bologna".
Gratis et amore dei.
"Sempre: dal Bologna non ha mai voluto una lira. Lavorava nel negozio di famiglia in via Clavature e indossava la maglia del Bologna per pura passione. Sul suo passaporto, alla voce professione, c’era scritto ‘commerciante’. E mi raccontava che la cosa lasciava sempre un po’ perplesso il presidente Dall’Ara".
Oggi le bandiere non esistono più.
"Però c’è Orsolini, che è con noi da tanti anni. Di gol ne fa anche lui, ma a me piace anche come batte i corner: quando prende la rincorsa mi aspetto sempre qualcosa di bello".
Orsolini. E poi?
"Dico Dominguez. Quel ragazzino mi piace da matti: li salta tutti e non va mai per terra".
Vogliamo riconoscere i giusti meriti a chi li allena?
"Parto da chi li allenava un anno fa: Motta. Quando è andato via, e per il modo in cui è andato via, ci sono rimasta male. Mi ha molto deluso".
Italiano invece?
"Devo essere sincera: non lo conoscevo tanto e in estate avevo dei dubbi, ma poi mi sono dovuta ricredere. Questo allenatore ha dato un gioco alla squadra e ha costruito un gruppo molto affiatato. In poco tempo ha saputo conquistare anche i tifosi: a dicembre faccio ottant’anni e da quando seguo il Bologna non ho visto tanti allenatori capaci di far breccia nel cuore dei tifosi già a pochi mesi dal loro arrivo".
E allora si sbilanci.
"Tornare in Champions è un traguardo alla portata, così come arrivare in finale di Coppa Italia, ma dico di più: per me questo Bologna il prossimo anno è maturo per lottare per lo scudetto. Anche perché se oggi guardo alla classifica non siamo così distanti dalle prime tre. E noi abbiamo una carta che gli altri non hanno: il presidente Saputo".
Grazie Joey nei secoli dei secoli.
"Ricordo quando il Bologna qualche anno fa al Dall’Ara mi chiamò a bordocampo per inaugurare una nuova maglia e lui volle scendere dalla tribuna per conoscermi di persona. Quando mi abbracciò vidi che era commosso, probabilmente lo emozionava la storia di mio padre. Oggi quando lo inquadrano allo stadio lo vedo felice, segno che sta bene qui, che in questa città si sente a casa. E infatti in Canada torna sempre di meno".
Cento anni fa, nell’agosto 1925, il Bologna di ‘Anzlein’ vinceva il suo primo scudetto.
"Fa strano dire che è passato un secolo. Papà arrivò al Bologna quando aveva diciassette anni e smise presto, anche se poi nel ‘37 i tifosi andarono in corteo davanti al negozio per chiedergli di esserci anche il 6 giugno a Parigi, quando la squadra il vinse il Torneo dell’Esposizione battendo per 4-1 il Chelsea in finale. Quel trofeo ce l’ho ancora e lo custodisco con orgoglio".
Niente intitolazioni di strade o piazze a suo padre però, a parte una Rotonda Schiavio all’interno del recinto del Dall’Ara.
"C’era una piazzetta perfetta per l’intitolazione in via Clavature, me lo avevano promesso due sindaci, prima Merola e poi Lepore, ma non se n’è mai fatto nulla. Papà se fosse qui mi direbbe: ‘Marcella, lasa ban ster’".
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