Con il velo per vincere: da Sarah a Nouhalia, la fede scende in campo e riscrive la storia

La giocatrice del Marocco con l’hijab ai Mondiali femminili di calcio è l’ultimo esempio di sportive che hanno indossato il velo con orgoglio: una sfida ai regolamenti che lo vietavano

di PAOLO GRILLI
1 agosto 2023
Nouhalia Benzina, difensore 25enne del Marocco ora in lizza ai Mondiali

Nouhalia Benzina, difensore 25enne del Marocco ora in lizza ai Mondiali

Mettere il velo per sollevarlo, in realtà, da questioni sempre attuali di integrazione e inclusione. Quando Nouhalia Benzina è scesa in campo per il suo Marocco indossando l’hijab ai Mondiali femminili di calcio, ha scritto immediatamente la storia e rilanciato il tema dello sport come terreno di elezione per l’incontro tra culture e fedi diverse. "Se Allah ti aiuta, nessuno ti può battere", dice la 25enne che con la sua divisa di gioco ha mandato anche un messaggio religioso. Il suo credo che si fonde alla passione di una vita, il pallone: senza compromessi, o rinunce derivate da imposizioni.

Il calcio, come sempre, arriva tardi. Perché gli altri sport hanno offerto prima il palcoscenico ad atlete col velo. Sarah Attar, statunitense di origini saudite, ha gareggiato negli 800 metri e nella maratona a Londra 2012 e Rio 2016 con il capo coperto. Ancora prima, Ibtihaj Muhammad, sciabolatrice Usa musulmana, aveva vinto titoli internazionali scendendo in pedana con l’hijab sotto la maschera protettiva. Ai Giochi brasiliani colpì molto la ’mise’ di Doaa Eighobashy, egiziana del beach volley che giocò vestita dalla testa ai piedi: e ci fu chi parlò di scontro di civiltà vedendo il succinto bikini delle avversarie tedesche. Sempre a Rio, corse i 100 metri Kariman Abuljadayel, saudita con velo che sfidò il proprio governo per poter gareggiare. E il suo sorriso al traguardo fu l’effigie della conquista, nonostante il crono di 14 secondi la ponesse in fondo alla classifica delle sprinter.

L’interrogativo è inevitabile. Le atlete così abbigliate trascinano ancora con sé vincoli atavici? O sono portatrici, invece, di un’istanza profonda di libertà, quella di presentarsi secondo i precetti della propria fede, qualunque essa sia? Sono le donne, in ogni caso, a imprimere sempre il cambiamento. La Fifa, fino a dieci anni fa, vietava il velo in campo. La nazionale dell’Iran, nel 2012, si rifiutò di scendere in campo senza l’hijab per una gara delle qualificazioni olimpiche e si negò così l’accesso ai Giochi. L’anno successivo, l’apertura da parte dell’Ifab, l’organismo che stabilisce le regole del gioco, e la possibilità di indossare copricapi durante le partite. Una decisione divenuta definitiva nel 2014 dopo un biennio di prova, con l’unica indicazione di vestire il velo dello stesso colore della divisa. Tutto questo a soli sette anni dal caso di una giovane atleta di undici anni che in Canada era stata esclusa da un match perché il suo hijab non era stato giudicato idoneo dall’arbitro.

Nel basket, è stata Asma Elbadawi, britannica di origine sudanese, ad aver presentato per prima una petizione indirizzata alla federazione internazionale per togliere il divieto al velo in campo. Richiesta andata poi a buon fine.

Le contraddizioni non mancano certo in una disputa che implica inestricabilmente questioni di fede, cultura, libertà ed esteriorità. Proprio la nazionale femminile di pallacanestro iraniana, l’autunno scorso, si è fatta fotografare con le semplici divise da gioco e senza velo come atto di sfida contro il regime. E la federazione francese di calcio vieta ancora l’hijab in campo perché simbolo di matrice religiosa.

"Puoi mettere un velo e manifestare la tua fede o decidere di non farlo, senza preconcetti. Io sono semplicemente Karich, una ragazza libera e una sportiva", dice la Ekoh, pallamanista franco-camerunese in forza a Erice e solita scendere in campo con il copricapo.

Lo sport fotografa come pochi i cambiamenti della nostra società, fissando le tappe di un continuo divenire. E nulla può vincere la sua capacità di unire. L’immagine di Nouhalia, unica con hijab, commossa e immersa nell’abbraccio delle compagne dopo la vittoria del Marocco è quella che azzera ogni possibile discussione.

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