Il gol all’Udinese del Vichingo, l’attaccante atipico. Desolati e Nuno Gomes. Gli antenati di Beltran
Come una mareggiata a Calafuria, anche l’altra sera la sua partita d’attacco sembrava destinata a infrangersi sugli scogli di una...
Come una mareggiata a Calafuria, anche l’altra sera la sua partita d’attacco sembrava destinata a infrangersi sugli scogli di una difesa udinese rocciosa e senza appigli. Arrivava la palla e lui, proprio come i cavalloni del mar ligure, sbatteva contro Nehuen Perez e Kristensen, arretrando inevitabilmente prima di ripartire a cavalcare l’ennesima onda innocua. Questo fino al 10° della ripresa. Quando, su quella palla architettonica che Faraoni ha tracciato in mezzo all’area, lui ha preso il tempo a tutti volando oltre il biancheggiare dei difensori friulani e mettendola alle spalle dell’incolpevole Okoye. Un gol elastico da centravanti puro. Da bomber potenziale anche se con caratteristiche del tutto atipiche. Sì, Lucas Beltran, attaccante gaucho che in argentina chiamano "il vichingo" per via della chioma biondo nordico, l’altra sera con quel gol ha raccontato molte cose. Ha raccontato, analogamente al rapporto fra Smilla e la neve, che anche lui ha dentro un senso della rete che lo porta a superare limiti fisici e aspettative. Ha raccontato che i gol col Verona e a Monza non era figli della casualità di un momento ma antipasti delle sue potenzialità acrobatiche: la rete magnetica con la Lazio, vanificata da un tocco di mano crudele; il secondo gol col Cucaricki che profumava di magia. La traccia del campione in itinere con il quale serve adottare la cura antica della pazienza per poter vederne l’esplosione. Perché, è vero, strutturalmente Beltran tutto ha tranne che la fisicità del centravanti boa. Il vichingo è altro. E’ l’agilità che si fa attaccante. E il quasi trequartista che disegna calcio come quadri d’autore, pronto a dialogare con chi parla lo stesso esperanto calcistico (Nico Gonzalez, per dire). Non a caso in Argentina, per queste sue caratteristiche di gioco, veniva chiamato "il nuovo Dybala" non "il nuovo Lautaro".
Un centravanti atipico, appunto. Ma nella sua storia quanti ne già ha avuti la Fiorentina di numeri nove atipici come il vichingo? Ha avuto Alberto Orlando, ala di ruolo riadattata a centravanti così bene da divenire capocannoniere nel 1965. Ha avuto Mario Brugnera e poi un altro Mario, Maraschi, anche lui ex ala, col quale ha vinto il secondo scudetto. Ha avuto un formidabile nove atipico come Claudio Desolati, piedi da trequartista e velocità da centometrista, capace per queste sue caratteristiche di uccellare i macchinosi stopper degli anni ‘70 (chiedere per informazioni a Facchetti nel giorno della tripletta all’Inter). Ha avuto Ezio Sella, il bomber che nessuno conosceva ma che nel 1978 salvò la Fiorentina dalla B. Era poi un 9 particolare anche Nuno Gomes ma, soprattutto, era un centravanti meraviglioso e tascabile anche quel Pepito Rossi che, per un breve tratto di strada, ha meravigliato calcio sotto la torre di Maratona. Fosse solo per questo, vale o no consegnare definitivamente alla responsabilità del vichingo il ruolo di centravanti titolare? Chi scrive, al riguardo non avrebbe proprio dubbi.
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