Nico, il lider maximo. Quel giocatore totale con il ‘10’ sulle spalle
Nico Gonzalez, un giocatore altalenante all'inizio della sua carriera in Fiorentina, è diventato un leader vero. La trasformazione è coincisa con l'assegnazione del numero 10, come se quel numero gli avesse trasmesso una responsabilità trascendente.
Che tutto cambi perché nulla cambi, è la vecchia massima tramandataci dal "Gattopardo". Così fosse, nel mondo del calcio Nico Gonzalez è l’uomo più anti-gattopardesco che io conosca. Perché mentre buona parte della squadra intorno a lui è cambiata, lui non è rimasto quello di un tempo ma è diventato altro. Un giocatore totale, finalmente un leader vero, e non l’attaccante altalenante sospeso fra l’estasi e la sciagura dei suoi primi tempi viola. Lo ricordate vero appena sbarcato a Firenze dopo l’esborso monstre di 28 milioni? Il suo talento nitido lo si intravedeva già, eccome, ma le prestazioni tutto erano tranne che un inno alla costanza. Sì, il Gonzalez della prima vita fiorentina era un’ala destra capace di giocate fulminanti che però dentro la partita marcava assenze a ripetizione.
Pressappoco un anno fa, al minuto numero 8 della gara con l’Inter, il suo punto più basso. Quando la sua uscita anzitempo dal campo fu accompagnata dai fischi e dall’idea che quella fosse la fuga codarda di chi, attratto da altro, non ha a cuore la causa viola: "Che ce ne facciamo di uno così? Se se ne va, pazienza", dissero in molti. Che immagine distante da quella riflessa dal campo domenica sul far della sera con l’Atalanta. Un Nico Gonzalez dominante, punto di riferimento costante per la squadra. Che non si nasconde ma è visibile in ogni attimo della gara, combattendo su ogni pallone e poi volando in cielo ad assistare per Bonaventura. 63 minuti di intensità e classe, che hanno prodotto l’applauso convinto della gente viola.
Nico Gonzalez, il lider maximo di questa Fiorentina. Cosa l’ha cambiato? Forse il mondiale mancato lo ha spinto a capire che per correggere la fortuna servono disciplina e fatica. Forse l’età e l’esperienza di un atleta che, a 25 anni, ha capito che il tempo delle mele è finito. Forse la scelta di Italiano di responsabilizzarlo, facendolo giocare sempre e con compiti anche diversi più dentro al campo. O forse il numero di maglia. Sì, il numero di maglia. Se ci avete fatto caso la trasformazione è coincisa con la consegna del 10 sulle sue spalle. Come se quel numero sacro gli avesse trasmesso a sua insaputa una responsabilità trascendente che sfugge alla razionalità. Quasi fosse sospinto dall’energia diuturna di chi quella maglia l’ha indossata prima di lui, Montuori e Antognoni, De Sisti e Rui Costa, Baggio e Mutu, spingendolo a una partecipazione diversa. Certo, delle possibili spiegazioni questa è la meno probabile e la più vicina al mondo del magico. Ma in fondo, come insegna il filosofo positivista Harry Potter, cos’è la magia se non il potere di farci immaginare le cose migliori di come sono? Vale nella vita, vale ancor di più per il reparto giochi della vita chiamato Calcio.
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