Fonseca, il primo Milan è un povero Diavolo

Il tecnico assolve Leao, ma chiede più aggressività ai suoi: "Siamo stati passivi". Il meglio si è visto con i cambi nella ripresa

di LUCA MIGNANI -
19 agosto 2024
Fonseca, il primo Milan è un povero Diavolo

Il tecnico assolve Leao, ma chiede più aggressività ai suoi: "Siamo stati passivi". Il meglio si è visto con i cambi nella ripresa

"Siamo stati passivi". Paulo Fonseca lo ripete più volte. Accigliato, poi più disteso: ma il concetto non cambia. Dagli spogliatoi alla sala stampa, passando per le televisioni. Inghippo, cruccio, tormentone e, soprattutto, spiegazione principe, per il tecnico, di una partita dalla proverbiale doppia faccia. "Io voglio recuperare palla più avanti, voglio essere più vicino alla porta. Dobbiamo essere più aggressivi": chiaro, chiarissimo.

E ancora: "Se passiamo un tempo dietro, è difficile essere lucidi davanti. Il problema è collettivo, non difensivo". Deve averlo spiegato a chiare lettere all’intervallo: perché sì, il Torino già in vantaggio ha poi raddoppiato, ma di fatto il baricentro rossonero che nel primo tempo era di 54,39 metri si è alzato a 65,91 di media nella ripresa. Non solo qui, però, le magagne. Lo dicono ancora i numeri: 19-7 il conteggio delle occasioni create. 2-2 il risultato. Il problema è anche offensivo, si vedano le due palle gol gettate alle ortiche da un Leao comunque apprezzato da Fonseca ("ha lavorato tanto difensivamente, deve essere più lucido negli ultimi metri, ma non è una questione di tecnica"). E le altre due (almeno) scialacquate da Pulisic. L’elefante nella stanza, però, è la difesa. Un amaro ritorno al passato, ossia all’era Pioli. Una galleria degli orrori, soprattutto in merito alla prima rete incassata: sul banco degli imputati Thiaw, schierato in attesa del miglior Pavlovic, ma non solo.

In fin dei conti, infatti, tutti colpevoli: nell’uscire (erroneamente), nel non scalare (adeguatamente), per poi arrivare allo scriteriato controllo mancino (lui che è destro) sulla linea di porta azzardato dal centrale tedesco. Un colpo che ha fatto sbandare, una lezione non recepita viste le leggerezze in occasione del bis. Ma si è vista anche un’altra versione del Diavolo: tutto cuore. Dopo l’apatica prova di Jovic, Morata ha cercato il rigore, ha trovato il gol poi annullato per fuorigioco, ha messo il piede sulla sassata di Reijnders (che ha alzato il tasso di qualità, al netto di qualche errore di troppo). In pratica, ha suonato la carica.

Messaggio raccolto, eccome, anche dagli altri neoentrati: un Musah tutto gamba, un Okafor subito in palla e decisivo. Segnali di una rosa che ha (tanti) petali. Ma alla quale manca ancora qualcosa per sbocciare definitivamente: Fofana, potrebbe essere la risposta. Il francese è stato presentato ai tifosi all’intervallo: "Faremo grandi cose". Lui ne dovrà fare tante. Dovrà essere un giocatore "da area ad area" (come lui stesso si è definito). Dovrà essere l’equilibratore di sostanza. Ne serve, a una squadra che palleggia ("ma troppo lentamente", ha sottolineato Fonseca), che morde (ma concretizza poco rispetto a quanto crea, si vedano i numeri di prima). E che incassa ancora troppi gol.

La tournée americana è stata a cinque stelle, con scalpi eccellenti: City, Real, Barcellona. Prima, il pareggio con il Rapid Vienna. Poi, la vittoria col Monza. Tradotto: il Milan non ha mai perso. E non è ancora il vero Milan. Le premesse, dunque, rimangono più che invitanti. In attesa di Fofana, magari di un altro centravanti, di una sorpresa entro fine mese. In attesa, soprattutto, di avere al cento per cento i vari Theo Hernandez e Reijnders, Pavlovic e Morata, ad esempio. "Abbiamo una settimana per migliorare fisicamente", Fonseca dixit. Parma è già nel mirino.

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