Manuela Nicolosi arbitra sul tetto del mondo: "Ho rinunciato a diventare manager per il calcio”

Romana, ha diretto la finale tra Liverpool e Chelsea, due olimpiadi e tre mondiali: "Il pallone è maschilista. Il mio aspetto? Uno svantaggio. Però non ho mollato"

di ALESSANDRO BELARDETTI
30 dicembre 2024
Manuela Nicolosi, 44 anni, due lauree, è arbitra professionista con più di 200 gare dirette

Manuela Nicolosi, 44 anni, due lauree, è arbitra professionista con più di 200 gare dirette

Roma, 30 dicembre 2024 - "Sei una donna con le palle", le hanno detto molti uomini. Ma lei da sempre lotta contro questo linguaggio maschilista e contro il sessismo. La 44enne romana Manuela Nicolosi ha arbitrato più di 200 gare professionistiche, è stata la prima italiana nella terna di una finale di Coppa del mondo femminile, è diventata un simbolo nella Ligue 1, ha diretto due Olimpiadi, tre Coppe del mondo, due Europei. Ma non solo, è anche stata nominata tra le 50 Most Powerful Women da Fortune Italia, ha due lauree, ha lavorato in Europa, America e Asia e parla 4 lingue. Un curriculum spaventoso, ma ogni step per Manuela è stato complesso.

Quali sacrifici ha fatto per seguire il sogno di fare l’arbitra?

"Ho rinunciato a tantissimi soldi e a un posto da manager in una Big Four. Ero dirigente di un colosso della consulenza, responsabile Ue di finance, e intanto facevo l’arbitro per passione. Ero in serie C, guadagnavo 150 euro a partita, un rimborso spese. Poi ho dovuto scegliere".

Cosa è successo?

"Prima della mia seconda Coppa del Mondo, mi telefona il mio capo italiano: la tua attività di arbitro sta creando gelosie, da domani smetti. Era come se mi avesse tolto il cuore senza l’anestesia".

E lei?

"Mi sono licenziata e ho seguito il mio sogno".

Come nasce la sua passione per il calcio?

"A 4 anni mio papà mi portò all’Olimpico a vedere la Lazio. Un’emozione unica. Scoprire che i calciatori riuscivano a fare gioire, piangere, urlare e soffrire così i tifosi, mi ha fatto innamorare: anche io volevo fare sognare così la gente".

Ma?

"In casa appena potevo palleggiavo e giocavo con la palla. Mio padre fu chiaro da subito: tu a calcio non giochi, devi fare uno sport da femmina".

Suo papà ha avuto modo di ricredersi negli anni.

"Purtroppo è morto in un incidente stradale quando avevo 16 anni. Mi ha visto arbitrare due gare, comunque, e aveva accettato questa scelta. Nel 2019 quando ho diretto la finale tra Chelsea e Liverpool ho sussurrato verso il cielo: papà, sono arrivata in cima".

Il calcio è un mondo dominato dai maschi.

"Assolutamente sì, infatti a 20 anni sono andata via dall’Italia perché avevo capito che non volevano arbitri donne. Ti fanno arrivare a un certo livello, quello regionale, poi ti mettono il bastone tra le ruote in ogni modo. Il metro di giudizio degli osservatori cambia rispetto a prima. Sono stata 6 mesi in Erasmus, poi, tornata in Italia, era peggio di prima. Così, sono ripartita per la Francia, dove ho raggiunto i massimi livelli del mondo".

Ha mai avuto paura in campo o negli spogliatoi?

"Arbitravo in Eccellenza nel Lazio e a fine partita mi sono barricata negli spogliatoi, allenatori e dirigenti di una squadra mi urlavano ‘ti ammazziamo, esci’. Ho chiamato i carabinieri che mi hanno scortato fuori. Me lo ricordo come fosse ora".

Gli arbitri sono sempre vittime di violenza.

"Tutto parte dai genitori dei giovani calciatori. I bimbi vogliono divertirsi, ma spesso i papà dagli spalti li incitano a fare male all’avversario. ‘Spaccagli la gamba, uccidilo’, ho sentito dire. Una volta ho dovuto interrompere la gara perché le famiglie si picchiavano. Ma l’aspetto peggiore sono le mamme che per far parte del branco, diventano violente".

Il suo aspetto fisico è stato un vantaggio nel calcio?

"No, anzi. Ogni mio superiore mi ripeteva: devi essere meno visibile, attiri troppo l’attenzione. In Francia, un anno non sono stata promossa dalla serie C alla B perché ero troppo ‘visibile’. Sono stata a un passo dal mollare. Un conto sono gli errori tecnici o i test atletici non superati. Ma che mi fermino dicendomi ‘sei appariscente’, no".

I calciatori le facevano avance?

"È successo, ma non ho mai ceduto. Non sono il tipo che sognava di fidanzarsi con un calciatore. In campo se avevo davanti Mbappè o Salah, per me era uguale".

Qual è l’arbitro che ha ammirato di più?

"Pierluigi Collina, il migliore".

Sarebbe giusto equiparare gli stipendi tra uomini e donne?

"È una questione di marketing: in Spagna hanno investito tanto nel calcio femminile e hanno un ritorno importante. A vedere Barcellona-Real Madrid c’erano 92mila persone. In una Coppa del Mondo l’impegno tra uomini e donne è identico, perché allora un uomo guadagna 40mila euro e una donna un terzo?".

Quanto era tesa prima di Liverpool-Chelsea?

"Prima della finale, siamo arrivate allo stadio sul pullman passando in mezzo a una marea umana che attendeva le squadre. Ecco, lì il cuore mi batteva fortissimo".

Cosa ricorda di quel match?

"Ad Olivier Giroud ho fischiato quattro fuorigioco di fila. Lui è venuto da me e ha detto: ‘hai finito?’".

Qual è l’errore più grosso che ha commesso in campo?

"Ero in serie B in Francia e quel match valeva per essere promossa in A. C’era il mio capo a vedermi, ma invece che concentrarmi sul match mi sono focalizzata su di lui. Nei minuti di recupero ho dato valido un gol decisivo, ma in realtà c’era un fallo. Ho aspettato due anni per la promozione".

Ha mai subito molestie?

"Sì, ma preferirei non parlarne. Non ho mai ceduto, per questo ci ho messo tanto a fare carriera".

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