Myriam Sylla e la sua Italia: i nonni adottivi, Palermo, il sole. E la lotta contro i razzisti: “Non li perdono”

La schiacciatrice originaria della Costa d’Avorio è tra le veterane della nazionale. La finale olimpica è l’appuntamento più importante della carriera

di DORIANO RABOTTI, INVIATO
11 agosto 2024

Parigi, 11 agosto 2024 – Di questa nazionale che va a caccia dell’oro olimpico, Myriam Sylla è stata anche capitana. Poi Velasco ha scelto di dare i galloni alla centrale Anna Danesi, ma la grinta della schiacciatrice non è mai venuta meno, anzi.

Alla fine della semifinale vinta contro la Turchia era talmente carica e nervosa, che ha chiesto un cestino e ha vomitato, sfogando l’enorme tensione che prova quando gioca. Poi si è rialzata e ha salutato le avversarie come se niente fosse. Myriam Sylla è fatta così, la vita l’ha portata ad avere rispetto, ma paura mai.

Tutta la grinta di Myriam Sylla
Tutta la grinta di Myriam Sylla

È nata a Palermo da genitori originari della Costa d’Avorio, aiutati da un ‘angelo’ quando erano in difficoltà: “Mio padre è stato fortunato a incontrare i miei nonni adottivi. Papà era arrivato in Italia a Bergamo, dormiva alla Caritas. Si spostarono a Palermo, lui e mio zio, perché faceva freddo. Una sera una signora, rientrando a casa in macchina, vide mio padre e lo aiutò. Lui cominciò a lavorare per la famiglia, quindi mia mamma lo raggiunse: quando nacqui io, queste due persone si affezionarono. È per questo che mi sento siciliana. A Palermo c’è il mio inizio ed è il luogo dei nonni adottivi. Ha sole, caldo, allegria: mi assomiglia”.

Non è stata sempre una passeggiata: "I compagni mi prendevano in giro, mi svuotavano lo zaino nel pullman e non mi facevano sedere accanto a loro. Non gliela farei passare liscia: non odio, però evito di perdonare”. Una volta tirò anche un banco, a scuola: “È capitato solo una volta… A casa regnava la povertà e io cercavo di essere pacata. Poteva allora capitare che a scuola sfogassi quello che avevo dentro: oggi non rifarei nulla, ma si sbaglia per imparare”.

È legatissima alla Costa D’Avorio, "anche se per 10 anni ho avuto un passaporto verde, pur non essendo stata in Costa d’Avorio ed essendo nata e vissuta in Italia. A un certo punto ho avuto una crisi d’identità e mi sono detta: sono italiana oppure no? Ma il legame con la Costa d’Avorio sarà eterno. Non ho mai avuto modo di conoscerla, prima o poi rimedierò”.

Intanto si batte per quell’Italia che sente sua, anche se ci ha messo tanto a darle il passaporto giusto e ha dovuto sopportare gli insulti razzisti di chi proprio non riesce a vedere il mondo a colori.

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