Gli infiniti colori del deserto. Tramezzani ricorda i suoi 100 giorni: "Mi mancava la famiglia, ma tornerei»

La testimonianza dell’ex tecnico dell’Al-Faisaly: "Progetto impressionante, però bisogna adattarsi alle loro regole"

16 febbraio 2024
Tramezzani ricorda i suoi 100 giorni: "Mi mancava la famiglia, ma tornerei"

Tramezzani ricorda i suoi 100 giorni: "Mi mancava la famiglia, ma tornerei"

"E’ vero, la mia avventura nel deserto è durata poco più di cento giorni: cominciata con grande entusiasmo e terminata per un attacco di nostalgia, chiamiamolo così, perché non è facile dover rinunciare per troppo tempo alla famiglia. Ma non è stata un’esperienza negativa e se domani ci fosse un’altra possibilità, la rifarei". Paolo Tramezzani, ex calciatore di Inter, Tottenham e Atalanta ma pure vice di De Biasi nell’Albania dei miracoli), cinquantreenne allenatore giramondo appena atterrato in Croazia per una nuova avventura in panchina, parla volentieri della sua breve ma intensa parentesi nella Saudi League. Era l’alba dell’estate 2021 quando l’allenatore, che fino ad allora aveva girato in sei paesi diversi accettò la proposta del l’Al-Faisaly: un contratto di un anno con opzione per quello successivo col club di Harmah, città nella provincia di Riyad.

Il 19 giugno lei arrivò in Arabia. Che ricordo conserva?

"Dal punto di vista calcistico è stata un’esperienza che mi ha arricchito, anche se regole e restrizioni alla fine condizionano il lavoro, a cominciare dagli allenamenti che erano organizzati, con il traduttore, in base alle preghiere: 7 al giorno. Alle quattro e mezza e alle sei meno un quarto sentivamo le campane delle moschee e dovevamo fermarci tutti, e siccome al mattino si sfioravano i cinquanta gradi spesso si finiva per allenarsi a mezzanotte. Mi sono adattato".

Le vere difficoltà erano nel quotidiano, non sui campi...

"Dopo alcune settimane mi ero abituato a vivere senza alcune comodità, tutte cose che al mio arrivo avevo previsto. Però quando sei lì fai fatica ad accettare tutto e ad abituarti: io ero ad Harmah, mia moglie e mia figlia invece a Riyad, a distanza di due ore di autostrada. Harmah è un villaggio che sembra la fotografia di epoche remote, mentre Riyad è una città elegante, proiettata nel futuro, molto tecnologica, l’oasi felice degli stranieri. Ma la famiglia divisa era un bel problema, considerando poi vari aspetti, vederla una sola volta alla settimana pesava".

Giorno dopo giorno si è accorto del diverso stile di vita...

"Mia moglie teneva sempre il velo, io dovevo girare con pantaloni e maniche lunghe anche con 40 gradi. Il rispetto delle regole e delle loro abitudini era fondamentale per una tranquilla convivenza però io e mia moglie non potevamo entrare insieme al ristorante perché uomini e donne hanno ingressi separati. E poi c’erano altre leggi da osservare, per esempio il divieto di bere un bicchiere di vino o una birra. Però è anche vero che sono stati fatti anche passi avanti per ledonne, da alcuni anni è concesso loro andare allo stadio, anche se in posti determinati".

Dopo 100 giorni, il 9 ottobre 2021, ha deciso di tornare in Europa.

"Avevo la possibilità di svincolarmi, i dirigenti hanno capito le mie difficoltà e ci siamo lasciati bene. Professionalmente l’esperienza in Arabia è stata importante, nonostante i disagi di ambientamento. Io vivevo in una città piccola, ma i tifosi sono pieni di passione ovunque. E sono andato via con la squadra settima in classifica".

Secondo lei per quali motivi tanti ex calciatori dopo pochi mesi si pentono della scelta fatta e vorrebbero lasciare la Saudi League?

"Forse per il livello del campionato. Chi arriva dal Manchester o al Barcellona capisce che è un mondo diverso. E poi magari c’è chi non riesce ad adattarsi, capita anche ad alcuni stranieri quando sbarcano in Italia. Ma non c’entra l’aspetto economico, perché determinati contratti puoi averli solo lì".

Se in futuro le arrivasse una nuova chiamata ripeterebbe davvero l’esperienza in Arabia?

"Molto volentieri. Lì il calcio non finirà come in Cina, in una bolla di sapone. Ci sono strutture e organizzazione. Per chi arriva parliamo di diversità, non difficoltà. E un domani andrei lì più preparato..."

Giulio Mola

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