Narducci "La Davis, il mio sogno da bambino"

L’ex tennista nel 1989 fu schierato a sorpresa contro i giganti svedesi: "Giocai al posto di Canè, che brividi. Mi rivedo in Arnaldi e Cobolli"

di MATTIA GRANDI -
11 settembre 2024
Narducci "La Davis, il mio sogno da bambino"

L’ex tennista nel 1989 fu schierato a sorpresa contro i giganti svedesi: "Giocai al posto di Canè, che brividi. Mi rivedo in Arnaldi e Cobolli"

Trentacinque anni dopo, la storia in Coppa Davis di Massimiliano Narducci è ancora attuale. Istantanea di un gregario capace di sfiorare l’impresa nel febbraio del 1989 a Malmoe contro i giganti svedesi Jonas Svensson e Mikael Pernfors. Fuoriclasse portati al quinto set prima di cedere. Con mezza Italia incollata per ore davanti alla tv. Ex numero 77 del ranking Atp nel 1988, per sette settimane primo giocatore italiano della graduatoria, l’ascolano abita a Imola da 30 anni dove dirige il Tozzona Tennis Park. Con i big Sinner e Musetti non convocati, l’Italia si affiderà a Berrettini e a qualche sorpresa.

Narducci, un po’ come fece Panatta con lei all’epoca.

"Le storie di Matteo Arnaldi e Flavio Cobolli ricordano la mia. Giocatori operai dal grande talento. Lottatori affamati con una bella gavetta alle spalle. La Coppa Davis a Bologna può essere la loro grande occasione".

Lei la sfruttò bene. Canè finì in panchina per farle spazio.

"Per me era già tanto vestire l’azzurro in Davis. Il sogno di un bambino che guardava in tv il trionfo dei suoi beniamini all’Estadio Nacional de Cile di Santiago nel 1976".

Poi?

"Il 1988 fu il mio anno d’oro e venni convocato in Nazionale. Condizione ottimale in allenamento, misi in crisi Panatta e il suo staff. Due giorni prima del match d’esordio mi comunicarono la decisione di mandarmi in campo contro Svensson. Quattro ore di battaglia. Stessa cosa con Pernfors, Davide contro Golia".

Il suo è uno dei rari casi di sconfitte sportive celebrate quasi come vittorie.

"Era la storia di un ragazzo di Ascoli Piceno partito senza un soldo in tasca per girare il mondo con la sua racchetta. Tanti sacrifici ma alla fine quel sogno l’ho realizzato".

Pesano le assenze eccellenti nell’Italtennis di oggi?

"Negli anni ’80 e ’90 la convocazione in Coppa Davis era l’apice della carriera. Temo che adesso, però, le cose siano un po’ cambiate. Prima vengono i propri programmi poi la maglia azzurra. Sinner, reduce dal trionfo agli Us Open, lo posso anche capire, ma Musetti doveva essere in campo per l’Italia e i suoi tifosi".

Il suo pensiero su Berettini?

"E’ un giocatore che mi piace. Ha dimostrato di raggiungere risultati di prestigio con doti fisiche e tecniche impressionanti. Conosce il valore dei sacrifici e ha avuto il coraggio di mettersi in discussione dopo un periodo nebuloso. Ora ha un gioco meno dispendioso da fondo campo e usa di più il rovescio. Sono certo che tornerà presto tra i grandissimi".

Le piace la formula adottata dalla Davis da qualche tempo?

"No. E’ molto meno affascinante la vittoria al meglio dei tre set invece dei cinque. Poi mi manca il vecchio tabellone a eliminazione diretta. Non trovo giusto che alcune squadre, come il Brasile dopo un volo transoceanico, giochino di fatto sempre in trasferta. La spinta del pubblico di casa in Coppa Davis fa la differenza".

Effetto Sinner sul tennis ad ogni livello, anche nei circoli.

"Come fu quello di Tomba per lo sci e di Pantani nel ciclismo. Il tennis, però, non è mai andato in crisi in termini di numeri. Ora in Italia ci sono i coach migliori del mondo e una crescente consapevolezza, anche da parte delle famiglie dei giovani, del valore delle competenze tecniche e dei professionisti".

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