Nba Finals nel segno di Jokic e Butler. Fra Denver e Miami uno scontro (non) atteso

La serie fra Nuggets e Heat nelle mani due giocatori a caccia di rivincite personali. Il serbo fu scelto con il numero 41 ed è stato oggetto di body shaming. ‘Jimmy Buckets’ fu cacciato da casa a 13 anni dalla madre

di ALESSANDRO GALLO -
30 maggio 2023
Nikola Jokic e Jimmy Butler

Nikola Jokic e Jimmy Butler

Roma, 30 maggio 2023 – La finale meno attesa? Forse, perché Denver-Miami è un inedito. Ma ci sono tanti punti in comune, tra Nuggets e Heat, a cominciare dai due giocatori che rappresentano le rispettive franchigie. Nikola Jokic e Jimmy Butler, due underdog come direbbero negli States. Due giocatori sottovalutati, diremmo noi, con un inizio, nella Nba, tutt’altro che esaltante. Jokic viene scelto giovanissimo, nel 2014, da Denver, ma con il numero 41. Nemmeno un investimento. Più la speranza (o scommessa) che Joker, questo uno dei suoi soprannomi, possa prima o poi esplodere. Non tanta fiducia nemmeno nelle capacità di Butler, che Chicago, la piazza dove è diventato leggenda Michael Jordan, indica nel 2011 come scelta numero 30. Jokic, prima di tutto. Perché è europeo (nato in Serbia nel 1995), perché è partito dal vecchio continente. E perché, a dispetto del fisico – 211 centimetri per 130 chili – vorrebbe fare il fantino. O il driver. La sua passione per i cavalli è nota. Lo scorso anno fu visto, impossibile non notarlo, all’Arcoveggio di Bologna. Poi altri avvistamenti, quasi fosse un Ufo, tra Ferrara e Reggio Emilia. Con una grande amicizia con il driver e allevatore Alessandro Gocciadoro, con il quale si sente praticamente tutti i giorni. Non bello da vedere nelle movenze, oggetto persino di body shaming. Non bastasse, quando aveva 15 anni, Nikola doveva pregare gli amici perché lo facessero giocare. Adesso quegli stessi amici che una volta lo snobbavano, magari bonariamente, bussano alla sua porta per chiedergli qualche biglietto per le Nba finals. Non è che l’infanzia di Jimmy sia molto migliore. Anzi, forse è peggio di quella di Jokic. Butler ha un bel fisico, ma a soli 13 anni, viene sbattuto fuori di casa dalla madre. “Non mi piace il tuo atteggiamento. Te ne devi andare”, le parole della mamma. Così, a 13 anni, Jimmy si ritrova senza una casa. Viene ospitato ogni settimana da un amico diverso, fino a quando non trova Jordan Leslie. Una famiglia numerosa, madre, patrigno e 6 figli. I genitori di Jordan all’inizio osteggiano l’ingresso di Butler, poi alla fine si adeguano e lo trattano come un figlio acquisito. Jimmy scopre il basket e, da quella che avrebbe potuto essere un’esistenza borderline, diventa (lui, classe 1989) uno dei migliori talenti della Nba. Uno che in patria, fino a 15 anni non facevano mai giocare. Un altro che a 13 anni viene cacciato di casa. Chi lo avrebbe mai previsto all’inizio del terzo millennio? Oggi, alla vigilia della finals, li ritroviamo come uomini simbolo e leader di Nuggets e Heat. Comunque vada a finire – anche se Denver appare favorita – avrà vinto il basket. Che è uno sport, come spesso ama ricordare un allenatore-educatore del calibro di Marco Calamai, speciale. Perché guarda verso l’alto.

Continua a leggere tutte le notizie di sport su