Juve: risultati, scontri e spogliatoio non in mano. Il disastro Motta è servito
Il tecnico italo-brasiliano paga più la gestione delle risorse che gli aspetti tattici, poi le scoppole recenti e i colloqui di Giuntoli: ecco come si è arrivati all’esonero. Decisivo l'incontro Elkann-Scanavino

Thiago Motta
Torino, 24 marzo 2025 – Decisivi i colloqui interni dei giorni scorsi per prendere la decisione estrema: esonerare Thiago Motta. Si chiude bruscamente, anche nei modi, il progetto nato un anno fa con l’ex allenatore del Bologna, annunciato in pompa magna dalla Juve come il cardine del nuovo progetto di rilancio verso un calcio vincente e moderno. Non è accaduto. Erano questi i tempi, un anno fa, delle indiscrezioni e dei rumors sottobanco sulla corte di Cristiano Giuntoli verso l’allora tecnico del Bologna, che stava conducendo una stagione magnifica poi culminata con il ritorno in Champions dei rossoblù dopo sessant’anni. Sembrava la scelta corretta, quella più convincente: un allenatore giovane e moderno, capace di potenziare e migliorare ogni giocatore della rosa. Sulla carta, tutto giusto. La Juve voleva (e vuole?) smettere di andare avanti a suon di aumenti di capitale e per farlo aveva deciso di imbastire un progetto giovane e sostenibile, in cui valorizzare i giocatori Next Gen e far progredire, anche come idea di gioco, una squadra che non vince lo Scudetto da troppi anni. Cristiano Giuntoli, come si è visto dopo la finale di Coppa Italia, aveva deciso da tempo di sostituire Max Allegri, e c’era ampia convergenza nell’ambiente nonostante un trofeo vinto, per dare alla piazza un progetto innovativo e di largo respiro. Eppure, oggi, in tanti rimpiangono Max e nei nove mesi con Thiago non è funzionato nulla. I motivi del disastro.
Risultati scadenti e pareggi in sequenza
La Juve, tutto sommato, non era partita male in stagione. La difesa non prendeva mai gol, l’equilibrio della squadra era evidente e davanti a turno qualcuno trovava la stoccata. Ma con i primi infortuni difensivi, e nella ricerca di produrre di più in attacco, la Juve ha cominciato a sfilacciarsi, a perdere le sue prerogative difensive, finendo per rischiare di perdere partite anche nel girone di andata (rimonta sul Bologna al 94’), pathos abbondanti pure con il Venezia, il rischio di un cappotto a San Siro con l’Inter fino alla rimonta 4-4. Le prime piccole crepe qua e là, poi acutizzate nel nuovo anno in cui la sconfitta di Napoli aveva aperto il primo fronte della crisi con un distacco dalla vetta che sembrava insormontabile. Il canto del cigno è stato febbraio, con quattro vittorie in fila per arrivare a meno sei, ma la debacle interna con l’Atalanta ha spalancato le porte dell’inferno. Senza dimenticare, nel mezzo, il brutto percorso nelle coppe. Prima delusione in Supercoppa a gennaio, poi le due più cocenti tra Coppa Italia e Champions contro due avversari abbordabili come Empoli e Psv. La debacle di Firenze, e le continue mancate reazioni, ha fatto il resto.
Il rapporto interno e lo spogliatoio sfuggito di mano
Evidentemente, per dare vita a un progetto totalmente nuovo, Thiago Motta aveva deciso di seguire la stessa linea di Bologna, dove non si era fatto scrupoli nel mettere alla porta Musa Barrow oppure lasciare in panchina, spesso, Marko Arnautovic. E’ partito allo stesso modo anche a Torino, prima con Chiesa, ma anche Szczesny e Rabiot hanno cambiato aria, fino alla conclamata crisi con Danilo, che nel video di addio ai colori bianconeri non le ha mandate a dire. E non a caso il giocatore ha piazzato un like galeotto all’annuncio di Igor Tudor. Ma alla Juve non si può utilizzare la stessa strategia che si è usata altrove, perché le prerogative sono diverse, le aspettative molto alte e il filo rosso che lega il passato con il presente non va tagliato. Così, si è aperta una frattura non sanabile e Motta, progressivamente, ha perso presa sullo spogliatoio, con la conseguenza che la squadra, in campo, non rispondeva più agli stimoli. Le mancate reazioni contro Atalanta e Fiorentina hanno lanciato il campanello d’allarme e il confronto interno ai piani più alti della società ha portato all’estrema decisione.
Elkann ha preso in mano la situazione
La storia degli ultimi giorni è nota. Cristiano Giuntoli aveva ribadito fiducia a Motta dopo la sconfitta di Firenze, annunciando però una analisi profonda della crisi per capirne la natura. La settimana è proseguita con confronti a tutti i livelli e l’ultimo, tra Elkann e l’Ad Scanavino, ha portato all’esonero. La proprietà avrebbe preso in mano la situazione e optato per un cambio. La voce di Roberto Mancini si è attenuata subito, non era sua intenzione fare solo il traghettatore, così, anche per ridare mentalità e dna juventino, si è andati su Igor Tudor, che ha vissuto la Juve sia da giocatore che da vice di Pirlo nel 2020/2021. Prima cosa serve ridare tempra e intensità e, come si è visto alla Lazio l’anno scorso, lui è in grado di farlo. Secondo, si può ricompattare lo spogliatoio e riportare in auge qualche escluso, come Dusan Vlahovic che potrebbe fare coppia con Kolo Muani aumentando il peso offensivo. Va anche rivalutato Kenan Yildiz, tra gli attaccanti. Più di ogni altra cosa, però, la Juve punta a sistemare la difesa dopo 7 gol presi nelle ultime due partite. L’unico obiettivo, ed è primario per i bilanci, resta tornare nelle prime quattro posizioni e assicurarsi 60-70 milioni di euro di ricavi Champions. E da oggi, anche Cristiano Giuntoli è sotto la lente di ingrandimento per una onerosa campagna acquisti che non ha dato i suoi frutti. Tutto in discussione alla Juve, ma con Tudor si prova a mantenere la barra dritta. A giugno, poi, nuovo progetto, magari alla ricerca dell’allenatore giusto con le tentazioni Conte e Gasperini che viaggiano sotto traccia.
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