Napoli, i numeri della crisi e la sentenza del Maradona: tutti colpevoli della resa

Dai giocatori a De Laurentiis, passando per la lunga sfilza di allenatori: il ko contro l'Atalanta scopre ulteriormente i tanti errori stagionali dei partenopei

di GIUSY ANNA MARIA D'ALESSIO -
1 aprile 2024
Napoli-Atalanta, la delusione di Ngonge (Ansa)

Napoli-Atalanta, la delusione di Ngonge (Ansa)

Napoli, 1 aprile 2024 – La gara contro l'Atalanta, il primo dei tre scontri diretti in programma al Maradona per continuare a sognare la prossima Champions League, con quelli contro Roma e Bologna a completare il trittico già indicato a suo tempo da Walter Mazzarri, ha fornito al Napoli risposte importanti, pur se diametralmente opposte a quelle auspicate: la rincorsa alla top 4 (o 5) rischia di essersi conclusa già con largo anticipo o forse, banalmente, di non essere mai iniziata.

I numeri della crisi

A parlare sono innanzitutto i numeri della classifica, per la verità già da tempo impietosi con i campioni in carica, ma soprattutto quanto messo (o non messo) in campo dagli azzurri, con il primo tempo della gara contro i bergamaschi come 'buona' fotografia della situazione. L'Atalanta domina in lungo e in largo e mette subito in discesa la sfida grazie alle reti di Aleksej Miranchuk e Gianluca Scamacca, mancando (inizialmente) il colpo del ko soltanto per sfortuna, imprecisione e bravura di Alex Meret. Nella ripresa, forse più che altro per un moto di orgoglio dovuto anche ai primi accenni di fischi del Maradona e per le prime mosse di Francesco Calzona, la cui imbattibilità in campionato cade, il Napoli comincia a farsi vedere più volte nell'area ospite, scontrandosi a sua volta con sfortuna, imprecisione e bravura di Marco Carnesecchi. Il resto lo fa Teun Koopmeiners, uno che la sfida di Fuorigrotta ha rischiato anche di non giocarla, calando un tris dolorosissimo che fa aggiornare ulteriormente i numeri di una crisi che ha un inizio ma non ancora una fine. Ormai è anche inutile fare un distinguo tra i ruolini di marcia dei vari tecnici: nella sua totalità, il Napoli formato 2023-2024, quello allenato da ben tre tecnici, ha 30 punti in meno di quello che un anno fa vinse lo scudetto. Non solo questo paragone impietoso proprio ora che cominciano a riemergeri i parallelismi con la dolce primavera di attesa e preparativi di un anno fa: questo Napoli ha un saldo negativo anche nei confronti di Napoli ben meno gloriosi di quello che avrebbe vinto lo scudetto a maggio 2023. Basti pensare al paragone con il Napoli del 2021-2022, ancora targato Spalletti e avanti di 18 punti rispetto a quello attuale. Oppure i -14 punti oggi a referto rispetto al Napoli allenato da Gennaro Gattuso nel 2020-2021: forbice che si riduce a 3 punti passando alla stagione 2019-2020, quella precedente che vide l'esonero di Carlo Ancelotti, uno che altrove avrebbe avuto ben altre fortuna e gloria. Insomma, banalmente spesso nel calcio le colpe non sono soltanto degli allenatori: discorso che assume ancora più concretezza nel capoluogo campano, una piazza notoriamente senza vie di mezzo in cui spesso si plasmano imprese o disastri, a loro volta tra l'altro capaci di alternarsi con una rapidità inquietante. Il comune denominatore di tutti questi scenari, nell'ultimo ventennio, si chiama Aurelio De Laurentiis, tornato oggi a essere il caprio espiatorio di (quasi) un'intera tifoseria dopo le diverse strategie comunicative sperimentate in una stagione lunga e tormentata fin dagli albori.

Credito finito per tutti

Dopo aver appurato che, a meno di miracoli, neanche Calzona riuscirà a portare a termine il proprio compito, ridimensionato via via come le stesse ambizioni complessive del Napoli, il colpevole per gran parte della piazza è proprio lui, un De Laurentiis accusato di aver sbagliato tutto: dalle strategie estive di mercato a quelle invernali, con la casella del difensore centrale rimasta vuota, senza dimenticare ovviamente la ridda poco fortunata in termini di allenatori. Proprio questi ultimi, man mano che procedevano di pari passo esoneri, presentazioni in pompa magna e poi risvegli progressivi dall'ennesima illusione, diventavano per ADL i responsabili del flop di un Napoli che, tra le altre cose, ha cambiato spesso (e sempre invano) la veste tattica. In principio, quasi per cavalcare l'onda lunga dello scudetto e di una rosa sostanzialmente rimasta quasi immutata nei ruoli cardini, a Castel Volturno vigeva il dogma del 4-3-3, quasi imposto dal patron anche a fronte dei tentativi di Rudi Garcia di virare sul 4-2-3-1. L'avvento di Mazzarri, dopo un'iniziale ritrosia, porta alla virata su un 3-5-2 che inizialmente sembra pagare i dividendi ridando compattezza difensiva agli azzurri prima di spegnere ulteriormente una fase offensiva già mai all'altezza dei fasti del recente passato. Quasi in contemporanea con il subentro di Calzona torna in scena il 4-3-3, che si conferma il modulo più idoneo per questo Napoli, inchiodato ulteriormente di fronte alle proprie responsabilità. Insomma, pur cambiando i timonieri la nave ha continuato a imbarcare acqua, portando all'esaurimento della pazienza anche l'ala più clemente e placida del Maradona, esplosa come il resto dello stadio dopo il pesante tris inferto dall'Atalanta. Il credito degli eroi dello scudetto si è esaurito, così come quello accumulato da De Laurentiis, che oggi paga forse più gli errori dialettici che quelli gestionali. In fondo, del roster titolare dello scorso campionato il patron aveva sacrificato soltanto Kim Min-Jae, nel cui contratto figurava una clausola rescissoria che toglieva alla società partenopea il potere decisionale. Ciò che viene imputato a De Laurentiis è la ricerca forse troppo superficiale di un sostituto, con l'erede designato Natan, praticamente ormai sparito dai radar, che non ha bissato l'exploit inatteso del sudcoreano. Non solo: la strategia comunicativa di ADL, volta sempre a trovare un colpevole accendendo periodicamente un caso nuovo, un po' come da tradizione, alla lunga si rivela un boomerang per lo stesso patron, divorato dalle fiamme accese da se stesso nel tentativo di proteggere la sua creatura e forse anche per mantenerla alla ribalta quando il rendimento sul campo piange. I fatti spesso sconfessano questa strategia: a maggior ragione quando si rivolta contro De Laurentiis e lo stesso Napoli, chiamato a provare a chiudere degnamente un campionato che da anonimo rischia di scivolare su binari ancora peggiori e che, soprattutto, non conducono alla tanto ambita meta chiamata Champions League.

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