Mourinho, il discorso di Budapest e il messaggio sul futuro che mette i Friedkin spalle al muro

Il portoghese vuole rimanere in giallorosso, ma per vincere. E detta le condizioni: vuole un club più organizzato e una rosa che gli permetta di fare il salto definitivo. Vuole fare quello che a Roma non è abituata a fare: vincere.

di PAOLO FRANCI -
1 giugno 2023
Josè Mourinho

Josè Mourinho

Roma, 1 giugno 2023 - Non c’è allenatore vincente al mondo così bravo e pittorico nel affrescare una sconfitta come fosse una vittoria. In questo, Josè Mourinho è unico. Il discorso alla squadra nella tremenda notte di Budapest fa impallidire quello di Al Pacino in ‘Ogni Maledetta Domenica’. Una notte nella quale un arbitro tragico (“fucking disgrace” ha urlato Mou a Taylor) e un rapporto con la fortuna un po’ così - gli infortuni, le occasioni sprecate, il palo di Smalling alla fine dei supplementari, quel maledetto autogol e poi i rigori senza più cecchini - hanno spazzato via il sogno.

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Ricordate no, una delle frasi clou di quel film? “In questa squadra si combatte per un centimetro, in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi, e tutti quelli intorno a noi per un centimetro, ci difendiamo con le unghie e con i denti”. Ecco. Solo che quello era un film e qui siamo in un crudo reality del pallone dove un sogno s’è spezzato dal dischetto. In un modo che te lo sogni per una vita intera, come succede a Bruno Conti o Ciccio Graziani, eroi al contrario di quella notte all’Olimpico contro il Liverpool.

"Non voglio lacrime, ma solo orgoglio per quello che avete fatto, Abbiamo perso ma avete dato tutto quello che avevate dentro. Anzi, ci hanno fatto perdere (Taylor...) ma non avete perso la dignità, lottando con il cuore fino all’ultimo pallone, mettendoci il 110% . Sono orgoglioso di voi, mai stato più orgoglioso di un gruppo di calciatori come questo in vita mia”. Eppoi quella chiusa che nella notte nera diventa un lampo di luce: “Ci sarà occasione per tornare a gioire...”.

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Eccola, la bella notizia per quelli che da un anno intero fanno sold out all’Olimpico. Mou resta, o così sembrerebbe. Perché poi dirà, esausto, in conferenza stampa: “Voglio rimanere però i giocatori meritano di più, anch’io merito di più, e voglio lottare per avere qualcosa in più. Sono un pochino stanco di essere allenatore, uomo di comunicazione, la faccia di quello che dice che siamo stati ‘derubati’. Voglio rimanere nelle condizioni di dare di più”. Le condizioni sono chiare: vuole un club più organizzato e una rosa che gli permetta di fare il salto definitivo. Vuole fare quello che a Roma non è abituata a fare: vincere.

E comunque un Mou così agguerrito, polemico, con le zanne sempre scoperte - che sia un arbitro, Cassano o un collega indigesto - resta un patrimonio per il nostro pallone. In un calcio che ha fatto della disaffezione dei tifosi un male necessario speso all’altare dei profitti, uno come lui tra Rugantino e Robespierre, è specie in estinzione da proteggere a prescindere. Con i tifosi della Roma e la squadra è diventato un tutt’uno che si muove come se fosse una persona sola. C’è chi guarda a Mou sulla Vespa, il famoso murales di Harry Greb, e stavolta lo vede ritratto di spalle, nel timore che arrivi qualcuno e se lo porti via. Lui vuole restare, vincere e, con le parole della notte di Budapest, ha messo i Friedkin - pur bravi e concreti nel gestire il club - con le spalle al muro e un solo, ingombrante quesito, in sintesi: “Io resto per vincere, ma voi volete vincere o no?”.

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