Napoli, scacco matto al Verona: la mossa a sorpresa di Garcia

Il tecnico francese, nonostante i venti di esonero, continua a predicare il suo credo tattico: al Bentegodi brilla l'attacco 'giochista'

di GIUSY ANNA MARIA D'ALESSIO
22 ottobre 2023
Verona-Napoli, Rudi Garcia (Ansa)

Verona-Napoli, Rudi Garcia (Ansa)

Napoli, 22 ottobre 2023 - Difficile contare quante volte, nel giro di pochi mesi, il Napoli di Rudi Garcia sia caduto e poi rinato. Difficile stabilire se quella che è andata in scena al Bentegodi sia la cosiddetta volta buona: di certo contro l'Hellas Verona gli azzurri hanno fornito le risposte attese da una piazza intera e, soprattutto, dallo stesso Garcia, che assesta un colpo importante per rinsaldare la propria panchina. Il tutto grazie principalmente a Khvicha Kvaratskhelia, che nella città di Giulietta e Romeo si scatena sempre.  

La rivincita di Garcia

  Proprio dove tutto era cominciato poco dopo il suo sbarco nel capoluogo campano, il georgiano (ri)sale in cattedra e sfodera i pezzi forti del repertorio anche grazie a un'intesa sempre più forte con Matteo Politano. Curiosamente, senza il totem centrale Victor Osimhen, il Napoli rispolvera un vecchio classico delle passate gestioni: l'asse caldo tra i due esterni, che dialogano nello stretto e da un lato all'altro del campo, facendo letteralmente ammattire la difesa di turno. Forse sarà stato proprio per questo che Garcia stupisce tutti al momento della lettura delle formazioni: niente da fare per il grande ex Giovanni Simeone e spazio a Giacomo Raspadori. La scelta del tecnico francese è chiara e netta, anche nel contesto della crisi delle settimane precedenti: a essere premiati sono il 'giochismo' e la manovra sempre ponderata, i due ingredienti tramite i quali provare ad arrivare al risultato. Niente di così inconsueto nel calcio odierno, se non fosse che di mezzo c'erano una squadra ostica e coriacea come il Verona, tra l'altro in un contesto mai semplice e banale come quello del Bentegodi. Non solo: Garcia non ha ripudiato le sue idee neanche al cospetto di una panchina traballante e quasi ridicolizzata da tutti. A cominciare dal pubblico ludibrio fomentato da Aurelio De Laurentiis subito dopo la sconfitta contro la Fiorentina. In quell'occasione, nella cornice di Roma, da parte del patron volarono accuse pesanti verso il proprio allenatore e la sua professionalità: distanza con lo spogliatoio, disabitudine con il calcio italiano, scelte sbagliate a partita in corso e chi più ne ha più ne netta. Poi, in pieno stile ADL, tutto è stato smentito e ritrattato: con tanto di invettiva verso coloro che, meri cronisti dei fatti, si erano limitati a riportare e ricordare quanto accaduto. Insomma, nel capoluogo campano ancora una volta il problema non sono i contenuti, quanto la trascrizione degli stessi. Poi c'è chi come Garcia, seppur tra due fuochi, è stato capace di isolarsi e continuare per la sua strada, dimostrando quindi a chi di dovere di avere le idee chiare sul calcio da proporre. Certo, non sempre i risultati hanno dato valore alle suddette idee, ma in questi casi un ruolo importante, si sa, lo giocano anche i singoli e la loro vena. A tal riguardo, riemerge con vigore e prepotenza la discontinuità del Napoli, nel collettivo e proprio nei suoi vari protagonisti scorporati uno per uno. Non solo: per dare una vera svolta alla propria stagione, gli azzurri dovranno in un certo senso fare pace con il Maradona.

Tabù Maradona

  Le sconfitte accusate in stagione a Fuorigrotta sono già 3: 3 come quelle incassate in totale dalla squadra campione d'Italia. Certo, gli avversari (Lazio, Real Madrid e Fiorentina) e la qualità del gioco proposto degli stessi pongono l'accento più sui meriti dei corsari di turno che sui demeriti dei padroni di casa, che però in tutti i tonfi in esame hanno palesato una fragilità psicologica che mal si sposa con il vigore che dovrebbe mostrare la squadra che, come ci tiene sempre a ricordare De Laurentiis, ha dominato lo scorso campionato. Colpa solo del cambio in panchina e degli scossoni che inevitabilmente porta con sé oppure gli azzurri, paradossalmente, tra le mura amiche avvertono la pressione del tricolore cucito sul petto? La palla passa a Garcia, chiamato a travestirsi da psicologo per curare il male che finora ha afflitto il Napoli in particolare al Maradona, la culla della lunga festa scudetto. In realtà, il fenomeno si era già riproposto in passato, con l'impianto di Fuorigrotta a fare da cassa di risonanza dell'umore di un'intera piazza, amplificandone il bene e il male. Tralasciando l'imminente impegno di Champions League in casa dell'Union Berlino e focalizzandosi sul solo campionato, il prossimo esame in tal senso per il Napoli si chiama Milan: un incrocio mai banale in generale che diventa quasi suggestivo ora che a sfidarsi saranno le ultime due vincitrici del titolo. In attesa di trovare continuità in casa, riuscendo tra l'altro a vincere il primo scontro diretto in stagione, gli azzurri si godono il tris del Bentegodi, che porta la firma di Garcia tanto quanto le sconfitte e i pareggi deludenti. Anzi: stavolta lo zampino del tecnico francese si sente ancora di più. Con buona pace di chi lo taccia di una scarsa personalità o, peggio ancora, di aver perso dimestichezza con il calcio italiano. Invece, contro l'Hellas, Garcia dimostra l'esatto opposto con una mossa ben comune in Serie A ma comunque avveniristica: schierare un attaccante mobile ma magari meno avvezzo a segnare (Raspadori) in luogo di uno più statico ma spesso letale nell'area avversaria che nella partita in questione sarebbe stato mosso anche dalle classiche ambizioni da ex (Simeone). Insomma, chi si aspettava risposte sulla tenuta mentale di Garcia le ha avute. Poco importa che dietro potrebbe esserci la regia occulta dello stesso De Laurentiis, nelle ultime settimane praticamente una presenza fissa dalle parti di Castel Volturno. Il patron, si sa, appartiene alla fazione dei 'giochisti' e probabilmente ha apprezzato la scelta del suo allenatore che, dal canto suo, se n'è assunto i rischi in prima persona: con tanto di mannaia dell'esonero da tempo pendente sulla sua testa. Già, perché, a prescindere dall'esistenza o meno di un 'Grande Fratello', alla fine l'unico che paga è proprio l'allenatore. Nel caso specifico un Garcia che invece stupisce tutti: gli avversari, ma non solo.

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